A cura della dottor Gianluca Annarelli
Ampiamente diffusa ma ancora sottovalutata e sottodiagnosticata è l’atrofia vulvo-vaginale, una patologia che colpisce le donne dopo i 45/47 anni, qualche anno prima della vera e propria menopausa. Ma è nel periodo della post-menopausa che questa malattia interessa una fetta molto ampia della sfera femminile, circa il 90%; nonostante questo, non trova ancora lo spazio e l’attenzione che merita.
Alla base della sua sottovalutazione ci sono il disagio e la vergogna provate dalle donne a causa del coinvolgimento delle loro parti intime; alla base della sottodiagnosi c’è invece una ancor diffusa confusione con altre malattie infettive e relativo errato approccio terapico.
Poiché le conseguenze per la salute della persona e della coppia non sono indifferenti e possono essere risolte prima che i sintomi diventino cronici, è importante che la patologia venga affrontata e trattata adeguatamente fin da subito.
Cos’è l’atrofia vulvo-vaginale
L’atrofia vulvo-vaginale (sindrome genito-urinaria) è legata a un assottigliamento dei tessuti genitali e delle mucose vaginali, conseguenza del calo degli steroidi sessuali nel periodo della menopausa. La mucosa vaginale perde elasticità, resistenza e idratazione e si riduce la vascolarizzazione. Inoltre, il pH vaginale aumenta e i lactobacilli, che proteggono la flora vaginale, si riducono.
Tutto questo, come anticipato, interessa le donne alla fine del loro periodo fertile. Tuttavia, pur essendo la menopausa il periodo in cui si registra una carenza di estrogeni, l’atrofia vulvo-vaginale può manifestarsi anche precocemente, in particolare come conseguenza di particolari situazioni patologiche. Nello specifico, può essere indotta da cure mediche, come chemioterapia, radioterapia o intervento chirurgico demolitivo di asportazione delle ovaie.
Come effetto collaterale delle terapie oncologiche, interessa il 70% delle pazienti a cui era stato diagnosticato un tumore al seno e che si era sottoposta a trattamenti farmacologici endocrini.
Sintomi dell’atrofia vulvo-vaginale
Il primo e più evidente sintomo della sindrome genito-urinaria è la secchezza vaginale. A questo spesso si associano altri sintomi quali:
- Bruciore spontaneo o provocato dal rapporto intimo
- Prurito
- Difficoltà o impossibilità ad avere rapporti intimi
- Incontinenza urinaria da sforzo
- Cistiti ricorrenti
Atrofia vulvo-vaginale: terapie sbagliate
È fondamentale non confondere le cistiti infettive, che possono interessare il periodo fertile, con le cistiti ricorrenti, segnali tipici dell’atrofia vulvo-vaginale. La comparsa di queste ultime, infatti, non è associata ad alcuna infezione, ma è legata alla disidratazione e alla infiammazione delle mucose che interessa sia l’apparato urinario sia quello genitale. In questo caso, l’uretra e la vescica subiscono un vero shock funzionale, causando così la cosiddetta sindrome genito-urinaria.
Ciò che conta e che è di fondamentale importanza è quindi non cadere nella “trappola” della diagnosi sbagliata, che rischia di determinare un trattamento scorretto e inadeguato, con evoluzione cronica dei problemi e disorientamento della paziente, la quale non trova soluzione alla sua patologia.
È importantissimo diagnosticare l’atrofia vulvo-vaginale e non confonderla con problematiche come la candida o infezioni urinarie, al fine di adottare la terapia più adatta e risolvere così la patologia.
Atrofia vulvo-genitale: cosa fare? Le terapie
Per diagnosticare correttamente la patologia è opportuno eseguire una visita ginecologica e, di conseguenza, individuare la miglior terapia per la specifica situazione.
Le terapie applicabili mirano a ridonare nutrimento, elasticità e trofismo al tessuto genitale e in particolare alle mucose.
Ottimi risultati si possono ottenere attraverso terapie mediche cosmetiche a base di emollienti e acido jaluronico.
Un’altra tipologia di terapia prevede l’utilizzo di ormoni estrogeni che, oltre a togliere l’infiammazione, ripristina il collagene iniziale, forma nuovamente i vasi sanguigni e di conseguenza elimina i sintomi correlati. Questa terapia può affiancarsi alla terapia laser ad anidride carbonica, garanzia dei migliori e più duraturi risultati. La luce pulsata laser lavora, in modo indolore, sulla stimolazione dei fibroblasti, le cellule responsabili della produzione di acido jaluronico e di collagene, i quali riprendono la loro attività come nel periodo fertile.
Di conseguenza il tessuto è più idratato, elastico e meno infiammato.
Grazie alla terapia laser è quindi possibile curare l’atrofia vulvo-vaginale e ottenere un ottimo ringiovanimento genitale, in sole 3-5 sedute che vengono svolte a distanza di circa 60 giorni l’una dall’altra.